Intervista a Luciano Bosi, attore e regista teatrale, tra i fondatori del Laboratorio Teatrale “Lorenzo” e quindi tra i padri putativi di “E’ Tutta Scena!” APS, importante realtà dell’associazionismo teatrale romano
Luciano Bosi, classe 1948, livornese di nascita, romano di adozione e juventino di fede, per i primi 48 anni della sua vita non ha manifestato alcun interesse per il teatro. Figlio di Luigi, rappresentante di legnami e di Bianca Maria, casalinga, padre di Eleonora, ha avuto da sempre una grande passione per l’altra arte recitativa, il cinema, al punto da investire denaro in una multiproprietà a Venezia per aver modo di seguire da vicino il Festival del Cinema della Laguna e vedere quasi ogni film in concorso.
Diplomato in Fisica Nucleare (!), una carriera nell’informatica i cui primi 20 anni in Olivetti ed il resto in importanti realtà romane, ha, curiosamente, scoperto il teatro proprio grazie al cinema.
“Credo fosse il 1996, dopo la morte di mia moglie ... alcuni amici erano andati al cinema a vedere il film di Kenneth Branagh ‘Nel bel mezzo di un gelido inverno’ e sono tornati tutti entusiasti! Volevano tutti fare Teatro, si erano immedesimati nei personaggi del film, e mi hanno coinvolto! Abbiamo coinvolto Simonetta Corsi, come regista e mentore, perché era l'unica persona che conoscevamo che aveva già qualche esperienza teatrale, e abbiamo messo su "La bisbetica domata" di William Shakespeare... e da lì è iniziato tutto! Io facevo la parte di Gremio, uno dei corteggiatori di Bianca “
Quello di Kenneth Branagh è un piccolo capolavoro in bianco e nero e un grande atto d’amore verso il teatro: è il dietro-le-quinte dell’allestimento di un Amleto in modo amatoriale ma con velleità professionali, messo in scena, in “cooperativa”, da attori disoccupati che, con tipico british humour, mostrano tutta la miseria e la ricchezza dei loro caratteri e delle loro scadute ambizioni ma che riescono ad entrare sempre più nei personaggi grazie alla magia del palcoscenico ed alla ancor maggiore magia del testo shakespeariano oltre che del portato di esperienze di ognuno. In effetti un film che fa innamorare di un certo modo di fare teatro.
“Io non l’avevo visto il film, lo avrei visto poi, ero in una fase complicata della mia vita, da poco rimasto vedovo e con una figlia adolescente. Questi miei amici mi coinvolsero col loro improvviso entusiasmo. Io ho sempre creduto molto nell’amicizia. Ci ho sempre investito tanto. Erano così belli ed eccitati che mi sono fidato e mi sono buttato anch’io. Nessuno, a parte la regista, aveva alcuna esperienza di teatro. Mai fatto recitazione, dizione, articolazione. Nulla. Eravamo incoscienti e pieni di voglia di metterci in gioco, che forse è la cosa più importante, l’unica dote realmente indispensabile per un attore. Provavamo a casa di Simonetta e andammo in scena al teatro ‘San Pio V’, nella omonima piazza dalle parti di Villa Carpegna. La prima fu di venerdì, il 14 febbraio 1997, l’ultima la domenica seguente, 3 serate. Fu incredibile. Una di quelle esperienze … magiche, che ti segnano. L’emozione era tanta, l’adrenalina pure. Ma io sono un fatalista in tutto, uno di quelli che ‘ma si … andrà come deve andare’, di quel fatalismo che sfocia nella imprudenza grave. Probabilmente, se potessi rivedermi oggi, sarei molto critico, mi metterei le mani sui capelli. Ma per certe cose ai miei 48 anni mi comportavo come un ventenne.”
Il San Pio V oggi si chiama teatro Aurelio. Ha una sala da 200 spettatori e un centro culturale annesso molto attivo. All’epoca era parte della parrocchia adiacente.
“Dopo quella prima esperienza, capii anche che dovevo lavorare sui molti limiti emersi al mio esordio. Quindi cominciai a frequentare corsi di teatro all’UPTER (n.d.r. Università Popolare di Roma) e seguii anche un bellissimo seminario sulla mimica tenuto da Gaston Troiano, un bravissimo mimo di origine francese. Il resto l’ho imparato recitando, me lo hanno insegnato tutti i registi, i colleghi e … pure il pubblico che ho avuto. Il pubblico è l’insegnante più capace ed è anche il più diretto. I sui silenzi valgono molto più di mille critiche. Io insomma decisi subito di proseguire l’avventura teatrale. Anche altri della comitiva iniziale hanno proseguito, chi per poco, chi ancora oggi va in scena. Subito dopo ‘La bisbetica domata’ allestimmo ‘Nel bel mezzo di un gelido inverno’, onorando quindi chi ci aveva fatto appassionare di teatro. Facevo Henry Wakefield, un uomo estremamente cinico e dalla lingua tagliente. Un personaggio molto distante da me”
Faceva una media di un paio di spettacoli l’anno, tra i quali Vetri Rotti di Arthur Miller, La locandiera di Goldoni, adattamenti di Moby Dick e di La Casa di Bernarda Alba con l’amico Daniele Gagliardi, La strana coppia di Neil Simon.
Nel 2006, insieme all’amico autore, regista e attore Mario Mosso, raccogliendo l’idea del giovanissimo Lorenzo Antonioli, decise di mettere la sua esperienza al servizio di una associazione ludica di cui faceva parte e che gestiva un gioco di ruolo online chiamato eXtremelot. L’associazione era “La Compagnia del Granducato” e lui e Mario Mosso misero in piedi il Laboratorio Teatrale “Lorenzo” (dedicato alla memoria proprio di Lorenzo Antonioli, scomparso a 19 anni prima di poter vedere concretizzata la sua idea). Il Laboratorio teneva le sue lezioni dapprima in un seminterrato di Via La Spezia a Roma.
“Se c’è qualcosa che sento di inevitabile nel teatro, è l’esigenza di far innamorare altri come me ne sono innamorato io. E altrettanto importante è condividere tutto quello che il teatro mi ha insegnato e mi ha regalato. Con Mario abbiamo impostato il laboratorio cercando di agire su due piani: insegnare quel poco di tecnica che abbiamo acquisito con gli anni, ed aiutare gli allievi a maneggiare le proprie emozioni per poterle prestare ai propri personaggi.”
Da allievo della prima ora posso affermare che Luciano e Mario hanno approcci non sempre identici al teatro. Luciano è un situazionista convinto, per il quale la recitazione si può si insegnare, ma deve poggiare su una seppur minima predisposizione. Per Mario non esiste nessuno di cui si possa dire che “non è portato”. La recitazione ha a che fare con emozioni e sentimenti e quelli li proviamo tutti. La tecnica si può insegnare a chiunque.
“Con Mario abbiamo fatto esordire decine di nuovi attori e posso dire con orgoglio che quasi tutti continuano a recitare. Ognuno di noi due ha dato quello che aveva da dare e probabilmente il nostro è stato un mix vincente. Oggi continuo a dare una mano, ma il Laboratorio viaggia da sé. I nostri allievi di un tempo sono i nuovi docenti e questo mi riempie di soddisfazione.”
Da Via La Spezia il Laboratorio “Lorenzo” si trasferì prima in una libreria (il lunedì dopo l’orario di chiusura) e poi finalmente nel teatro di una scuola elementare del rione Monteverde.
Il sodalizio con Mario Mosso l’ha portato a recitare in molte delle sue commedie come “Ti presento Giulio”, “Tanto tempo fa, più o meno a Natale” e tante altre.
In questi suoi 25 anni di teatro non ha mai fatto due volte lo stesso personaggio. Dopo Gremio, spasimante di Bianca ne “La bisbetica domata di Shakespeare”, ha vestito i panni di Henry in “Nel bel mezzo di un gelido inverno” di Kenneth Branagh, Eumeo nel “Capitano Ulisse” di Savinio, il Conte di Albafiorita ne “La locandiera” di Goldoni. Ha recitato o curato la regia di quasi 50 testi diversi preferendo quelli capaci di far ridere sulle sfide della vita di tutti i giorni ma non disdegnando i classici del teatro di sempre.
“Se devo scegliere un personaggio cui sono più affezionato potrei citare il cieco ne “Il posto”, testo di Consani & Gerotto, o il nonno di “Qualcosa Rimane” di Giorgio Pompei. Perché? Perché in testi divertenti e con un pubblico rilassato mi hanno permesso di fare piccoli monologhi molto seri e sinceri sul senso della vita, delle sue disgrazie e delle sue gioie. In fondo il teatro, come tutte le altre forme d’arte servono a farci vivere scorci di vita altrui e, così facendo, impariamo a vivere meglio noi stessi, come persone e cittadini migliori. Il Teatro, ti dà una gamma di sensazioni che è difficile spiegare... vanno dall'impegno per imparare al meglio la parte e nel fare le prove (ammetto che su questo versante non sono sempre stato professionale e qualche défaillance in scena, mi ha fatto capire la loro importanza fondamentale). La sera della prima ... indescrivibili emozioni. Per anni ho compiuto tutti i miei riti nei camerini, prima di entrare in scena, spesso con il cuore in gola, e la paura fottuta di sbagliare qualche battuta... poi, con gli anni, ero molto più tranquillo e controllato. Ecco … il giorno in cui non ti importa più o non hai più nessuna emozione … è tempo di smettere. L’ho sempre pensato. A me non è ancora successo. Ho dato tanto al Teatro, ma ne ho ricevuto tantissimo... le emozioni degli applausi a fine scena, sono impagabili, come il piacere di aver partecipato a una performance collettiva. Nel Laboratorio diciamo sempre che noi facciamo le cose INSIEME. E questo è il vero valore aggiunto.”
Altro personaggio cui è molto legato è Ulisse da “Qualcosa rimane” di Giorgio Pompei. È un padre che cerca di rispondere all’improvviso nichilismo del figlio, di cui non capisce la causa e di cui non condivide le conclusioni.
“Ancora ne ricordo alcune battute:
E con questo? Con questo? Ma che pensi? Se oggi mi proponessero di rivederla per un solo minuto, di poterle dire solo poche parole per poi perderla di nuovo, subito e soffrire di nuovo tutto quello che ho sofferto allora, tu credi che io rifiuterei? Beh sbagli! Per un solo minuto, per riaverla con me anche solo un minuto sono disposto a rifare la mia Via Crucis daccapo. Non ci credi? Chiedilo a chiunque sia passato per un lutto come il nostro. Chiedilo a loro (indicando il pubblico), chiedi a loro se non sarebbero felici di poter riavere anche solo per un attimo un loro caro, anche se questo poi significasse rievocare sofferenza e dolore. Accetterebbero tutti. Tutti. E lo faresti pure tu.”
In quasi 50 spettacoli gli è capitato di tutto.
“Una volta ... eravamo in scena con "Ti ho sposato per allegria" di Natalia Ginzburg e a metà del secondo atto, la mia partener mi dà una battuta quasi del finale... io purtroppo non sono stato in grado di riprendere dal punto dell'errore, e, praticamente, siamo andati al finale, saltando quasi un intero atto. Un’altra volta il giorno della prima ad una attrice, che vestiva i panni di Bonnie (la gangster donna della famosa coppia Bonnie e Clyde), va completamente via la voce a pochi minuti dall’apertura sipario. Ci siamo inventati di farle indossare un fazzoletto da bandito sulla bocca e l’abbiamo doppiata in tempo reale mentre lei si limitava a fare i movimenti e muovere le mascelle. In genere ho sempre avuto un pubblico numeroso ma proprio la sera di una prima di uno spettacolo al teatro “Le Salette” in via della Conciliazione arrivò la notizia della morte di Papa Giovanni Paolo II. Recitammo per tre spettatori in tutto. Sempre al Le Salette recitammo una volta con le prime due file immerse in una decina di centimetri d’acqua. Era esondato il Tevere! Un altro ricordo, che tengo sempre nel cuore, è stato il giorno della morte di Lucio Dalla … mi fu chiesto di leggere ‘La sera dei miracoli’ sul proscenio, a sipario chiuso … mi commuovo ancora adesso, come allora”.”
E il prossimo personaggio?
“Non ho mai sgomitato per avere la parte più importante. Ho sempre pensato che ogni personaggio è una occasione ed ho scoperto che spesso, nei ruoli minori c’è possibilità di giocare di più, di essere un po’ coautore. Alla mia età poi la memoria non è più quella di una volta. Il mio prossimo personaggio è un uomo saggio, pacato, curioso in una commedia francese di grande successo. Saggio spero di esserlo, almeno in parte, pacato … bah. Ma curioso … curioso si, lo sono. Entro a metà dell’opera, dico cose molto serie e che fanno riflettere e lascio gli altri personaggi sul palco un po’ cambiati dall’incontro col mio. Spero che questo cambiamento, seppur minimo, lo viva anche il pubblico. Ce la metterò tutta.”
G.P.